LE VIE DI COMUNICAZIONE
LINEE FERRATE E CANALI IRRIGUI
Linee ferrate e corsi d’acqua: due termini di un antico binomio che nella storia produttiva lombarda ha liberato risorse materiali e sociali inestimabili. Nel Pianalto delle Groane esso spiega anche le ragioni di un successo che verso la fine del XIX secolo decreta la realizzazione di opere importanti: il canale irriguo Villoresi (nel tratto Garbagnate-Senago) e le Ferrovie Nord Milano (nelle tratte: Milano-Saronno e Milano-Erba).
Occorre fare un viaggio indietro nel tempo…
È il 1862 quando Eugenio Villoresi, ingegnere (occupato fino a quel tempo nell’amministrazione dell’agenzia di Badile, azienda agraria di Zibido San Giacomo, alle porte di Milano), incomincia a lavorare al progetto cui avrebbe per sempre legato il suo nome: il Canale Villoresi.
Nel 1879 inizia l’esercizio ferroviario delle FNM, con l’attivazione della linea Milano-Saronno il 22 marzo. Al momento dell’apertura della linea le stazioni attive erano: Milano Nord, Milano Nord Bovisa, Novate Milanese, Bollate, Traversagna, Castellazzo di Bollate, Garbagnate Milanese, Caronno Pertusella e Saronno. Il 31 dicembre viene inaugurata anche la linea Milano – Erba.
LE RAGIONI E LA STORIA DIETRO IL CANALE VILLORESI
“Non mi darò pace sino a che non avrò eliminato il paradosso di una cospicua parte della Lombardia – la regione italica più ricca di acque – afflitta dal flagello delle arsure deleterie.”
Con queste parole ferme ed accorate Eugenio Villoresi riassunse una vita intera spesa nello sforzo di irrigare una parte cospicua delle “terre asciutte” dell’alto milanese con una colossale impresa di derivazione delle acque di piena dei laghi di Lugano, Varese e Maggiore in località “Pan perduto” (Vizzola Ticino).
“Per altopiano si intende quella parte di Lombardia stendersi tra il torrente Lura ad est ed il Ticino ad Ovest; comincia a sud dove si inizia la zona irrigata e spazia, a nord, sino alle radici delle Prealpi. È zona settentrione della città di Milano, con campi poco redditizi e ampie plaghe incolte denominate brughiere.”
Zona tradizionalmente legata all’officina ed al campo, la brughiera lombarda vide a poco a poco affermarsi una forma di economia mista che riassumeva le condizioni di lavoro dell’industria e dell’agricoltura.
I cascinali dell’area, le stalle, i magazzini agricoli servivano come abitazione per le famiglie impiegate stabilmente nell’industria secondo una vecchia consuetudine che assegnava le cascine in affitto gratuito in proporzione alla quantità di pertiche coltivate. Si aveva dunque una duplice attività che, seppur redditizia per quanto riguardava il panorama dell’industria, non lo era altrettanto per la rendita dei fondi agricoli che soffrivano di scarsità di investimenti in agricoltura; il contrario avveniva per le aziende agricole della “bassa milanese” che erano incentrate essenzialmente sulla concentrazione di mezzi meccanici e grossi capitali d’esercizio agrario. Il Villoresi si ispirò alle opere delle Congregazioni religiose dei Cistercensi nel campo delle bonifiche dei terreni seguendo la tradizione dei grandi progetti degli ingegneri Fumagalli, Possenti, Elia Bombardini, G.B. Piatti, traducendole in realtà nell’ottica innovatrice del Ministro Stella, il quale ebbe a dichiarare nel 1826:
“In Italia, paese eminentemente agricolo, la ricchezza più solida e più facile a svolgersi sta riposta nell’agricoltura; il mezzo più pronto a questo scopo è l’irrigazione: grande e bella industria, la più potente motrice dei progressi dell’economia rurale, e per conseguenza della prosperità, la più reale, del Paese; avendo essa per oggetto di ottenere dalla terra per mezzo di un buon impiego delle acque prodotti più abbondanti, più variati più regolari che non dalla cultura ordinaria.”
(Foto: il canale Villoresi alla diga di Panperduto, © Fabio Besana)
L’industria era agli inizi ma già s’intravvedevano i legami fra la produzione agricola e l’industria di trasformazione dei prodotti agricoli.
Un nuovo codice agricolo faceva leva sull’apporto della scienza nel campo delle colture e delle tecniche agrarie, dalla meccanizzazione della produzione agricola alle migliorie di rendimento dei terreni grazie anche all’impiego di nuovi concimi industriali provenienti dagli spurghi delle città e di sali e ceneri della produzione industriale.
La sterile produzione della vite (non già della migliore qualità), la coltura del baco da seta (in crisi dopo le prime grosse epidemie del mal del “calcino” e del “falchetto”) del grano e del frumento, il lavoro delle vangature, frazionato e disperso nel territorio, i prodotti degli orti e dei boschi, rappresentavano un ben magro bilancio per l’economia delle terre alte milanesi. “Prima di colonizzare l’Africa siete sicuri di aver compiutamente colonizzato l’Italia?”, soleva dire Eugenio Villoresi a chi gli andava contestando il suo disegno di canale irriguo.
A sostegno del suo progetto il Villoresi, assertore della famosa formula del “farsi da sé'”, senza cioè attingere alle casse dello Stato e con il solo concorso dell’iniziativa privata, adduceva una serie di calcoli cui il tempo diede ragione secondo le più ottimistiche previsioni. Con l’irrigazione delle terre si sarebbe conseguito un reddito per ettaro di 159 lire annue nella sua punta massima e di 123 lire nella sua punta minima per una media di 139 lire. In rapporto al totale della superficie irrigabile calcolata in 87.000 ettari, si sarebbe dovuto conseguire, pertanto, un reddito annuo di dieci milioni di lire derivante dalla messa a coltura di frumento, granoturco, gelsi, lino, ravizzone da olio, lino per fibra e olio, ma soprattutto fieno per il bestiame bovino.
In origine il canale avrebbe dovuto servire anche la navigazione per il trasporto delle merci povere (carbone, legna, torba, calce e graniti) ed erogare forza motrice ai numerosi stabilimenti che sarebbero dovuti sorgere lungo la linea ideale di divisione fra le brughiere del Ticino e l’operosa Brianza. Le alterne fortune cui venne sottoposto il progetto non permisero il dispiegarsi di tutte le innovazioni formulate in principio, ciò nonostante l’opera d irrigazione fece riscontrare all’Ispettorato Agrario, dopo il primo trentennio, un incremento di 400.000 ettari coltivati a frumento e di 920.000 quintali di foraggio.
Al di là dei pessimismi e del malumori iniziali, la costruzione del canale fu approvata con regio decreto il 30 gennaio 1868. Erano previsti due canali di derivazione dagli emissari dei laghi di Lugano e Maggiore che avrebbero dovuto congiungersi presso Parabiago e dividersi poi in due rami, uno dei quali per Lainate, Garbagnate, Varedo, Muggiò, Concorezzo, sino al fiume Adda; l’altro per Nerviano, Vanzago e Rho fino a Milano. La concessione avrebbe dovuto portare nell’arco di 90 anni alla costituzione di un Consorzio degli utenti, ma l’altalena di dubbi, dissensi e persino minacce di esodo forzato dei contadini liberati dal lavoro nei campi, impedì la piena realizzazione degli intenti iniziali nonostante l’appassionato sostegno del Villoresi e di suo cugino, l’ingegnere Luigi Meraviglia.
Al momento della morte del Villoresi gli eredi trasmisero la concessione alla “Società italiana per Condotte d’Acqua” con sede sociale a Roma. L’esercizio del primo tronco fu attivato nel 1886, ma per la sua definitiva sistemazione si dovette aspettare il 1891. L’esercizio passò nel 1918 direttamente al Consorzio che si era nel frattempo costituito su nuove basi nel 1912.
Nell’anno della prima commemorazione cinquantennale del canale si contavano 50.000 ettari irrigabili su una striscia di campi lunga circa 60 chilometri: la lunghezza del canale era di 86 chilometri, 250 chilometri erano i canali secondari, 3.000 chilometri circa quelli terziari, la portata era di 70 metri cubi al secondo. La popolazione interessata dall’irrigazione assommava a 564 individui per chilometro quadrato, di cui 65 con occupazione agricola principale e 50 con occupazione agricola secondaria. Quest’ultimo dato, emblematico dell’economia mista agricolo-industriale, caratterizzò tutta l’area dell’alto milanese nel 1942 con 15.300 proprietari di terreni irrigabili su di una superficie di circa 35.000 ettari.
FERROVIE NORD MILANO
Che occorresse una ferrovia al servizio del pendolarismo operaio fra i due poli della valle degli “eretici” (gli industriali cotonieri della Valle dell’Olona) ed il mercato di Milano, con i suoi sbocchi e le sue fabbriche era chiaro a tutti. L’iniziativa privata, sostenuta da capitali stranieri non rappresentò d’altra parte una sorpresa dal momento che il piano ferroviario lombardo non accompagnava le maestranze operaie nel loro movimento da e verso le industrie pesanti del circondario milanese. In questo senso l’iniziativa del Signor Vaucamp, di nazionalità belga, fu particolarmente significativa; sulla base dello studio elaborato il 5 gennaio 1874 dagli ingegneri Ambrogio Campiglio ed Emilio Bianchi, il Vaucamp presentò al Ministero dei Lavori Pubblici un progetto per la costruzione di un tronco ferroviario tra Milano e Saronno.
Il progetto fu approvato nel 1875, firmato il 21 maggio 1876 e portato a compimento il 22 marzo 1879, anno di apertura dell’esercizio della linea ferrata. Ben presto seguirono altre linee: il 22 dicembre 1879 la Milano-Erba, il 28 giugno 1880 la diramazione Seveso-Camnago; il 14 agosto 1884 la linea Saronno-Malnate; il 5 luglio 1885 la linea Como-Varese-Laveno; il 31 dicembre 1887 la linea Novara-Seregno; il Primo giugno 1898 la linea Saronno-Grandate; il 18 luglio 1904 la linea Castellanza-Cairate Lonate Ceppino; il 16 giugno 1922 il prolungamento della linea Erba-Asso.
LA LOCOMOTIVA FNM
Le Ferrovie Nord Milano potevano così contare su una rete di servizi estesa e ramificata nel territorio, in un’area interessata da un intenso processo demografico e di concentrazione di grandi fabbriche cotoniere e meccaniche. Nel 1926, dopo l’apertura del tronco Castellanza -Mendrisio in compartecipazione con il Governo Svizzero, le F.N.M. contavano su una rete di 248 chilometri, condividendo con le Ferrovie dello Stato il primato della penetrazione industriale nel territorio. Lungo le direttrici ferroviarie delle F.N.M. si concentrarono le più grosse e note industrie tessili e meccaniche.
Nel 1928 iniziarono le opere di elettrificazione lungo la linea Milano-Saronno e la Milano-Meda ed entrarono in servizio le elettromotrici a corrente continua (forse le prime in Italia). Con esse incominciò il lento declino della trazione a vapore immortalata dalla vaporiere 205 –Couillet, costruita nelle Officine Ferroviarie di Charleroi in Belgio. Il parco macchine delle F.N.M. si adeguò ben presto alle esigenze del traffico veloce e regolare, avvalendosi di pezzi sempre più sofisticati e brillanti a partire dai primi anni del Novecento sino a tutto il 1931.
Le vaporiere del gruppo 290 furono indiscutibilmente le locomotive più famose del parco macchine delle F.N.M..
FOTO TRATTA DA https://cpcontainer.weebly.com/i-treni-delle-fnm.html
Per quanto riguarda l’area delle Groane, l’opera di penetrazione delle F.N.M. si limitò alle spalle esterne della linea Milano – Novate (dove è l’officina di riparazione e di deposito delle locomotive) – Bollate – Garbagnate Milanese – Cesate – Caronno Pertusella – Saronno e della altra linea, sul versante est, Milano – Cusano Milanino – Paderno – Palazzolo – Varedo – Bovisio Masciago – Cesano Maderno – Seveso Camnago. Nella parte mediana le Groane erano attraversate dalla linea Novara-Seregno, di vitale importanza per le aziende dislocate lungo il tragitto Novara – Castellanza – Saronno – Seveso – Seregno.
Nel tratto Saronno – Ceriano Laghetto – Raccordo Bossi – Groane – Cesano Maderno, troviamo concentrati gli esempi più significativi ed importanti dell’insediamento industriale nel Pianalto delle Groane.
Il vantaggio del raccordo ferroviario diretto con le industrie dell’A.C.N.A. e della S.N.I.A. (stazione delle Groane) e dell’impresa Gianetti (raccordo Bossi) era determinante ai fini dell’approvvigionamento delle materie prime e del trasporto dei prodotti finiti.
Ogni giorno un locomotore agganciava i vagoni merci e li trainava all’interno delle fabbriche.
La ramificazione dei trasporti moderni su gomma ha oggi relegato le ferrovie ad un ruolo secondario: molte sono state chiuse al traffico e smantellate, la linea ferroviaria Novara-Seregno, disattivata in parte, vive ora un periodo di rilancio con il piano di ammodernamento delle F.N M. (regionalizzate nel 1974) ad integrazione con le linee delle ferrovie dello Stato.
Tutto il resto della linea, su cui incombe la pesante opera di ristrutturazione prevista dal piano regionale delle F.N.M., è interessato da opere in muratura, viadotti, stazioni, caselli ferroviari, segnaletica, arredi che testimoniano ancora oggi l’importanza assegnata ai vecchi manufatti ferroviari a dimostrazione del ruolo svolto dalle linee ferrate nella colonizzazione del territorio.
Fra le opere che meritano attenzione figura certamente il sovrappasso in mattoni faccia a vista della linea ferrata Milano-Saronno nei pressi di Garbagnate sul Canale Villoresi. L’opera, realizzata nel 1883 si compone di cinque bocche con volta a botte, con una luce di 2,20 metri ognuna.