ANTICHE ARTI
E MESTIERI

IL LAVORO DELLA SETA E DEL COTONE

XIX secolo: il tempo delle filande e della trattura del filo serico. Tutta la Lombardia era una distesa indistinta di coltivazioni di gelsi per l’allevamento del baco da seta. 

In questo settore si cimentarono un po’ tutti gli imprenditori per integrare le rendite fondiarie dei propri terreni con un lavoro più redditizio. 

Fu così anche nelle Groane dove una manodopera, sempre più rassegnata ad abbandonare il lavoro stagionale nei campi e nelle fornaci, si raccolse negli opifici serici sparsi a macchia d’olio nel territorio. 

Per la prima leva d’imprenditori industriali la seta naturale era considerata una fonte di sicuro reddito giacché costituiva una delle voci più attive della bilancia dei pagamenti nazionali. 

La lavorazione era limitata alla sola trattura e torcitura del filo serico per la produzione dell'”organzino” e non riguardava la fase della tessitura che era demandata ai grandi capitali stranieri che operavano sul mercato di Lione e Londra. 

Alle operazioni della trattura e della torcitura erano impiegate quasi esclusivamente donne e bambini che, per la destrezza delle loro dita e soprattutto per il basso costo della loro manodopera, erano considerati soggetti preferibili.

L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Gli uomini erano prevalentemente occupati nei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria delle macchine e delle caldaie a vapore. La totale assenza delle norme igieniche elementari, i vapori malsani emanati dalle vasche di macerazione del bozzoli, la rumorosità delle macchine rendevano il lavoro in filanda un lavoro assai ingrato. 

La catena lavorativa si svolgeva in spazi angusti inadeguati, edificati su misura delle macchine in spregio alle norme di sicurezza basilari. Ne conseguiva un lavoro infernale che metteva a dura prova le maestranze femminili le quali, in grande numero, rinunciavano persino alla funzione procreatrice. Come riscontro visivo, all’esterno della filanda, il nuovo paesaggio industriale si popolava di grossi edifici e filatoi.

Nella fase della trattura si traeva direttamente il filo serico dal bozzolo. L’operazione, che inizialmente veniva eseguita manualmente con una scopina di saggina, fu in seguito meccanizzata. Si traevano simultaneamente più fili serici con l’impiego di bracci meccanici dotati di una spazzola di saggina roteante su se stessa. Essi provvedevano a raccogliere i filamenti del bozzolo e ad inoltrarli, attraverso asole di ceramica, su aspi raccoglitori. I fili così raccolti, sottoposti a una prima fase di pulitura ed asciugatura, venivano poi abbinati fra di loro e torti e ritorti più volte in senso contrario per acquistare consistenza ed elasticità.

 

LENTATE SUL SEVESO: IL “CASINO CAJRATI MIRABELLA” 

La lavorazione della seta naturale nelle Groane aveva una delle sue testimonianze più significative nel “Casino Cajrati Mirabella”

Il complesso risaliva al 1650, anno in cui venne dato in gestione al capitano d’armata spagnolo Francesco Clerici;  fu in seguito venduto alla famiglia Diotti ed acquistato poi da Pietro Verri nel 1756 *. Il Verri cercò di migliorare i criteri di coltivazione del baco da seta, che era allora basato su 34 alberi da gelso, introducendo nuovi e sofisticati accorgimenti tecnici nella conduzione del fondo coltivato a frumento, segale, granturco e bosco-forte ed estendendo la superficie del terreno a prato. 

La vita al “Casino Cajrati Mirabella” divenne ben presto uno del punti di riferimento più importanti dello spirito “riformista” caratteristico dell’illuminismo lombardo che fece della sua epoca un periodo di grandi riforme e rinnovati entusiasmi per il progresso anche agricolo.

Quello stesso spirito riformista decretò  la nuova intraprendenza dei primi imprenditori industriali, fautori dell’introduzione del sistema di fabbrica  “all’inglese” così come venivano chiamati i primi esperimenti produttivi di lavorazione tensile su scala industriale.

* La data compare nello stemma scolpito sulla porta d’ingresso della villa (edificata dal Verri).

LENTATE SUL SEVESO: LA FILANDA DEGLI ODAZIO

La proprietà del Casino passò al Cairati Uselli di Birago e poi alla famiglia Odazio, precisamente al noto industriale serico Cipriano Odazio, che vi impiantò una filanda nel 1874.

 L’opificio dava lavoro alla manodopera femminile locale ed alle “forestiere” dell’area cremonese; queste ultime dormivano al piano terra della filanda. 

La struttura rispecchiava i canoni costruttivi dei primi opifici tessili: pianta rettangolare, piano terra riservato all’essiccazione, solcato da piccole rotaie per il movimento dei carrelli, primo piano per le bacinelle. 

Quasi assorbita dalle forme della filanda, s’apriva nella parte mediana del complesso una piccola cappella con vari affreschi, costruita nel 1769 in memoria del padre, Gabriele Verri. 

Seguiva indivisa la parte riservata ai saloni per l’ammasso dei bozzoli ed i locali del custode. La produzione, che contava su 80 bacinelle circa, durò ininterrottamente fino al 1918, anno in cui l’opificio fu trasformato per un breve periodo in un reparto di tessitura. Artefice di questa trasformazione fu probabilmente  Eugenio Villoresi, quello stesso che progettò il corso del canale irriguo e che avrebbe dovuto lambire il lato meridionale del complesso Mirabella, secondo alcune affermazioni.

La filanda non subì grosse trasformazioni se non il rifacimento nel 1910 della ciminiera eretta, questa volta, su pianta tonda. Una grossa vasca, posta nelle immediate adiacenze della villa, erogava acqua per la trattura del filo serico. L’opificio, rimasto inattivo fino agli anni Quaranta, fu in seguito riutilizzato per un allevamento di polli. Prelevato poi dall’azienda “Worthington Italiana” (impresa costruttrice di pompe e compressori con sede a Milano) l’edificio divenne un magazzino per modelli in legno per la fusione delle pompe.

BOLLATE: LA TENUTA AGRICOLA DEL CASTELLAZZO DI BOLLATE

I campi cavati, recuperati poi all’uso agricolo si si alternano in una successione di colture di granoturco, frumento, segale, (un tempo anche lino e canapa) nella tenuta agricola del Castellazzo sin dai tempi della famiglia Arconati-Crivelli: un conglomerato di case e cascine composto da più corti secondo la classica tipologia rurale lombarda, la Corte Grande, la Corte del Fabbro, la Corte Nuova, le Case Nuove. Le corti, comunicanti fra loro, formano un tessuto sociale emblematico che va ben annotato per la testimonianza di cultura materiale percepibile, per spirito ed accuratezza delle opere, nell’uso e nell‘applicazione su larga scala del mattone. 

La tradizione lombarda del cotto in una delle sue più umili espressioni architettoniche, per la natura del sito, ma certamente più importanti per la spontaneità delle forme, suggerite dalla pratica quotidiana del lavoro e della vita della comunità. 

Ne sono esempi calzanti la cinta muraria perimetrale adibita a magazzino e stalle e, soprattutto, il capanno in mattoni utilizzato per l’essiccazione del granoturco, visibile sulla strada per Bollate, in prossimità dell’unico accesso al paese. 

Il borgo era composto da diverse corti rurali, la cui vita quotidiana era scandita dai ritmi della semina e del raccolto. La stazioncina della linea ferroviaria Milano-Saronno (F.N.M.), attiva fino al 1990, era utilizzata dalle maestranze delle vicine fornaci e cave di argilla per la produzione di laterizi.